Enogastronomia

La cucina di Pietraroja è fatta di semplici piatti anche perché alcuni di essi in passato erano preparati fuori casa da pastori che disponevano di pochi ma genuini prodotti.

La maggior parte degli alimenti base erano prodotti dalle famiglie e solo pochissimi, non prodotti localmente, erano comprati, come il vino, l’olio di oliva, frutta e vegetali non coltivabili al clima di Pietraroja. L’olio di oliva in particolare veniva utilizzato solo per condire ortaggi e verdure crudi.Molti alimenti sono ed erano conservati per la provvista annuale. Recentemente il vino viene preparato, in propri locali attrezzati allo scopo, dopo aver comprato l’uva dai paesi vicini.

Il pane (“lu pànu” in dialetto) in passato era fatto solo in casa con farina integrale, da grano prodotto in proprio, a forma di pagnotte (“panèlle”) alte, di 2 chili di peso, di colore un po’ scuro e non diventava raffermo fino ad una settimana. Tutte le case disponevano del forno a legna e dell’attrezzatura necessaria: la cassa di legno in cui preparare la pasta per il pane, i canestrini (“canistrégli”), rivestiti di tovaglioli, per la lievitazione delle pagnotte crude immessevi, la pala (“panàra) per infornare, la madia (“matàrca”) per conservare il pane di settimana in settimana. Nel forno erano preparate anche le pizze, i biscotti, i rustici di Pasqua (“canisciùni”), le dure “scagnozze” di farina e crusca per i cani.

Il condimento un tempo era principalmente costituito da sugna (“assùgna”) conservata in vescica (“vessìca”) di maiale o in vasi, e da lardo essiccato e salato, di un colore rosa e di un invitante profumo. Le fritture (di patate, peperoni, etc.) venivano fatte ordinariamente con la sugna senza problemi di colosterolo o di triliceridi in quanto si conduceva una vita di lavoro fisico in un clima montano. Le altre parti grasse del maiale e la pancetta (“panzetta”, “pettrìna”) erano usate per preparare varie pietanze dopo averla tagliate e sfritte. Nella sugna sono conservate anche le salsicce (“sausìcchie”) stagionate, che vengono consumate dopo averle sfritte.

In inverno si ammazza il maiale, cresciuto durante l’anno con alimenti genuini, e con la sua carne si preparano salsicce e soppressate (“supresciàte”), mentre con gli arti si preparano i famosi prosciutti (“prusùtti”) essiccati al freddo e al fumo e successivamente stagionati[11]. Con questi ultimi e le soppressate si prepara l’affettato (“la fellàta“). L’affettato di prosciutto è fatto in pezzi di spessore non troppo sottile perché così è più gustoso. Anche la salsiccia secca si mangia a fette spesse (trìtegli de sausìcchia”).

Il formaggio (“lu càsu”) di latte intero di pecore, allevate esclusivamente su pascoli montani, è preparato in caciotte cilindriche (“masciòcche“) di 1-2 chili e conservato in dispensa su graticci di pertiche, dove si matura per assumere il suo caratteristico sapore forte. Il formaggio viene unto con olio per la sua conservazione e stagionatura. In caso di cattiva conservazione può essere attaccato da insetti, per cui nel formaggio si sviluppano le loro larve (“càsu pùntecu”) che lo digeriscono formando una pasta molle che, liberata dalle stesse, viene spalmata sul pane ed ha un sapore assai ricercato dai buongustai. Altro finissimo derivato del latte di pecora è la famosa ricotta di pecora messa nelle fiscelle (“fuscèlle”), una volta di giunco, ora di plastica, da gustare poco dopo la sua preparazione. Di latte vaccino intero sono fatti i caciocavalli (“casecavàgli”), una volta facilmente acquistabili per i notevoli allevamenti di mucche allora praticati. Si mangiano a fette tal quali o alla brace.

Ancora praticata è la preparazione di conserve, sciroppi, liquori, vegetali essiccati o sott’olio, ecc. La più praticata è la passata di pomodori bolliti che viene messa in bottiglie e successivamente tappata e pastorizzata per bollitura o per lento raffreddamento in casse di legno foderate di panno. Con la stessa tecnica si conservano i pomodori in pezzi, messi in barattoli di vetro a chiusura ermetica. Le zucche, coltivate principalmente per l’alimentazione dei maiali, sono essiccate al sole a fette dopo averle liberate di buccia e semi. Si ottengono anelli di questo ortaggio che sono messi ad essiccare su lunghe pertiche. In inverno sono consumate dopo averle rinvenute in acqua calda. Una specialità sono i funghi maggenghi locali sott’olio (“vìrni sott’ógliu”). Sono i funghi più prelibati di Pietraroja, per conservarli sono bolliti in aceto diluito e messi sott’olio.

Pietanze

Si riportano alcune pietanze caratteristiche del posto:

  • Acquasale: composto da pane secco (“tózzi”) spugnato in acqua a cui si aggiunge aglio, sale e olio (questo alimento era usato, con lo stesso nome, anche in Puglia, dove i pastori transumavano).
  • Biscotti (“Viscótti”): sono semplici biscotti di forma circolare di farina e sale. Di solito vanno accompagnati con il vino.
  • Biscotti dolci (“Murzètte”): Biscotti duri che si ottengono con farina, zucchero, uova, mandorle o nocciole in pezzi e cannella. Si preparano nel periodo natalizio.
  • Brodo di gallina con scarole e polpettine di carne (“Brudìnu”): viene preparato aggiungendo al brodo di gallina la scarola bollita e piccole polpettine di carne.
  • Cotiche imbottite (“Cótene‘mbuttìte”): sono involtini di cotiche di maiale ripiene di aglio, prezzemolo, sale, pepe, cotte nella salsa di pecora e pomodoro, usata poi per condire la pasta.
  • Crocché (“Crucché”): si fanno delle piccole crocchette (3–4 cm) di un impasto di patate bollite, uova e formaggio grattugiato e si friggono.
  • Fagioli e patate (Fasùgli e patàne): è un’antica zuppa ottenuta da fagioli cannellini (“scugnarégli”) e patate locali.
  • Frittata di Pasqua (“Frittàta de Pàsqua”): grossa frittata che si consumava il giorno di Pasqua dopo il digiuno della Quaresima. In proposito esiste il proverbio locale: “la frittata cà nùn fài de Pasqua nu la fài cchiù”(la frittata che non fai a Pasqua non la fai più, cioè: ogni cosa deve essere fatta al tempo debito).
  • Fritti di carnevale (“Crispèlle”): strisce increspate di pasta lievitata di farina, uova, buccia di limone grattugiata e fritte successivamente.
  • Fritto di interiora di pecora: si prepara sfriggendo cipolla e frattaglie di pecora tagliate a pezzi.
  • Gnocchi (“Cavatégli”): Sono ottenuti tagliando a pezzetti un cilindro di pasta di farina. I pezzi sono resi cavi premendoli con i polpastrelli. Si cuociono in acqua bollente, scolandoli quando vengono a galla e condendoli con la salsa appositamente preparata.
  • Maccheroni a mano (“Carràti”): cilindretti cavi di pasta a mano (a base di farina e uova) ottenuti arrotolando quadrati di sfoglia attorno ad una bacchettina di ferro. Spesso vengono conditi con salsa di pecora.
  • Panettone (“Panettónu”): Semplice dolce ottenuto da un impasto di zucchero, farina, uova, lievito con aggiunta di cioccolata o noci, liquore o limone grattugiato e successiva cottura in forno.
  • Parmigiana di melanzane (“Parmiggiàna de mulignàme”): È la classica parmigiana napoletana (melanzane a fette fritte, mozzarella e salsa di pomodoro) con la variante delle fette di melanzane passate nell’uovo e fritte.
  • Pecora o agnello alla pietrarojese (“Arrùstu de pècura, d’àinu): pezzi di carne di pecora o agnello cotti sulla graticola su brace di legna attenuata con cenere. È un piatto superbo se fatto con le carni di ovini cresciuti nei pascoli montani incontaminati di Pietraroja.
  • Pizza montanara col pomodoro (“Pìzza cu la pummadòra): Focaccia al forno condita con pomodoro, olio e origano, viene infornata prima di cuocere il pane.
  • Pizza unta (“Pizza ónta): Pizza bianca al forno condita con sugna, ciccioli di maiale e origano.
  • Peperoni ripieni (“Puparùgli chìni): si riempiono i peperoni locali di forma lunga e appuntiti, della varietà di Senise, con un impasto di patate bollite, uova e formaggio di pecora grattugiato e si friggono.
  • Rustico pasquale (“Caniscióne”): Sono preparati con dischi di sfoglia di pasta frolla su cui viene messo un impasto di riso, uova, patate lesse e cacio pecorino grattugiato. Si ripiegano i dischi per sigillare l’imbottitura e si cuociono in forno dopo averli cosparsi di uovo battuto per dare esternamente un colore lucido ambrato.
  • Salsa di pomodoro e pecora (“Sùgu de pècura”): Bollito di involtini di carne e ossa di pecora e passata di pomodoro di invitante sapore.
  • Struffoli (“Ciciarégli”): Palline fritte di farina, uova e zucchero ricoperte di miele
  • Zuppa di cavoli cappucci (“Zuppa de càugli”): Viene fatta con i cuori dei cavoli locali fatti a pezzi e cotti in uno sfritto di pancetta e aglio.
  • Zuppa di lenticchie e cotiche (“Rummìccule cu le cótene): È fatta con le piccole e famose lenticchie di Pietraroja. Entrambi gli ingredienti si sposano egregiamente per formare questo piatto immancabile anche nei pranzi importanti e nei matrimoni.
  • Zuppa di pane (“Serónta”): Si sfrigge la pancetta a pezzi con cipolla, si aggiunge acqua e si versa su pane raffermo.
  • Zuppa di zucchette (“Cucùzzi a zuppa”): si prepara da zucche nella prima crescita, ancora verdi o da zucche essiccate per rinvenimento in acqua. Liberate da semi e buccia, si tagliano a pezzi, si aggiungono, con pomodori, ad uno sfritto di pancetta e si portano a cottura nel loro liquido. A differenza dei comuni zucchini a zuppa, quella di zucchette ha un sapore più deciso e una consistenza maggiore nella loro cottura che la rende più gradevole.

Pagina aggiornata il 27/08/2024

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